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La partecipazione al procedimento di mediazione demandata dal giudice è obbligatoria anche per la pubblica amministrazione. Per cui non è giustificabile una negativa e generalizzata scelta aprioristica di rifiuto e di non partecipazione al procedimento di mediazione in quanto la Pa ha i medesimi oneri e obblighi di qualsiasi altro soggetto chiamato in mediazione. E ciò neanche quando la non partecipazione muova dal timore di incorrere in danno erariale a seguito della conciliazione.
Sono le conclusioni cui perviene il Tribunale di Roma (estensore Moriconi) con l’ordinanza del 13 ottobre 2021 resa in un giudizio sommario di cognizione in materia di responsabilità medica, seguito a un procedimento di consulenza tecnica preventiva per la composizione della lite. Una pronuncia che anticipa gli effetti del disegno di legge delega di riforma del processo civile, all’esame della Camera.

Nel caso esaminato, il giudice dopo aver preso atto dell’espletamento di una consulenza tecnica affidata a un medico legale e a uno specialista la cui relazione non era stata contestata da parte dell’Asl rimasta contumace, ma solo dalla parte attrice, ritiene che ci siano i margini per un accordo conciliativo e dispone la mediazione con l’inserimento di alcune indicazioni motivazionali, non senza avvisare le parti che l’ordinanza è ispirata anche a principi equitativi, non potendo le stesse ritenerne stabilizzati gli esiti.
Il tribunale ribadisce come ogni pregiudizio della pubblica amministrazione nei confronti della mediazione non abbia alcuna giustificazione.

In tale prospettiva, nell’ordinanza vengono richiamati da un canto gli esiti dei lavori della commissione di riforma del processo civile voluta dalla ministra della Giustizia, Marta Cartabia, e presieduta dal professor Luiso e dall’altro il testo della riforma del processo civile (già approvata dal Senato), che muovono nella direzione di favorire e incoraggiare la partecipazione dei pubblici funzionari ai tavoli mediativi nel solco della recente normativa emergenziale dello “scudo erariale”.

La riforma, con una disposizione che dovrà essere attuata dal Governo con i decreti legislativi da emanare entro un anno, prevede infatti per i rappresentanti delle amministrazioni pubbliche che la conciliazione nel procedimento di mediazione ovvero in sede giudiziale non dia luogo a responsabilità contabile, salvo il caso in cui sussista dolo o colpa grave, consistente nella negligenza inescusabile derivante dalla grave violazione della legge o dal travisamento dei fatti.

Di qui, il tribunale ribadisce come sussista a carico (anche) della pubblica amministrazione l’obbligo di esperire effettivamente la mediazione disposta dal giudice.
D’altronde, in motivazione il giudice segnala come sia «opportuno procedimentalizzare a monte (con i vari sistemi possibili, in particolare con l’ausilio di una commissione di esperti per la valutazione dei sinistri con composizione multidisciplinare, che possa orientare al meglio le decisioni del dirigente responsabile) la condotta del funzionario pubblico che amministra danaro della collettività e negozia». Il pubblico funzionario che partecipa alla mediazione dovrebbe infatti «concordare con chi ha il potere dispositivo del diritto oggetto di causa, e previa la debita istruttoria, perimetri oggettivi all’interno dei quali poter condurre le trattative. Con conseguente esclusione della responsabilità, salvo colpa grave o dolo». Peraltro, precisa il tribunale, «considerato che una conciliazione raggiunta sulla base del correlativo provvedimento del giudice, spesso, come in questo caso anche corredato da indicazioni motivazionali, in nessun caso potrebbe esporre il funzionario a responsabilità erariale», mentre questa potrebbe derivare se la mancata partecipazione fosse sanzionata come responsabilità processuale aggravata in base all’articolo 96, comma 3, del Codice di procedura civile.

fonte: “Il Sole 24 ore” |  Marco Marinaro