Con la sentenza del 1°/04/2016 n. 3989, il TAR del Lazio ha abrogato la norma del Ministero della Giustizia che stabiliva che gli associati a qualunque titolo ad un Organismo di Mediazione (mediatori, responsabili di sede, soci e/o associati) non potessero presentare istanze all’Organismo stesso. Dal 1° aprile u.s., è possibile, per le figure sopra elencate, depositare istanze presso l’Organismo con cui collaborano.
Nello specifico, il T.A.R. del Lazio ha annullato l’art. 6 del Decreto del Ministro della Giustizia del 4.08.2014 n. 139 (con cui era stato inserito l’art. 14-bis nel Decreto del Ministro della Giustizia del 18.10.2010 n. 180), nonché, per derivazione la Circolare 14 luglio 2015 avente ad oggetto “Incompatibilità e conflitti di interesse mediatore-avvocato”, emanata dal Dipartimento per gli Affari di Giustizia – Ufficio III – Reparto mediazione.
Con ricorso al TAR veniva impugnata la disposizione ministeriale in base alla quale “Il mediatore non può essere parte ovvero rappresentare o in ogni modo assistere parti in procedure di mediazione dinanzi all’organismo presso cui è iscritto o relativamente al quale è socio o riveste una carica a qualsiasi titolo; il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitino la professione negli stessi locali. Non può assumere la funzione di mediatore colui il quale ha in corso ovvero ha avuto negli ultimi due anni rapporti professionali con una delle parti, o quando una delle parti è assistita o è stata assistita negli ultimi due anni da professionista di lui socio o con lui associato ovvero che ha esercitato la professione negli stessi locali; in ogni caso costituisce condizione ostativa all’assunzione dell’incarico di mediatore la ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’articolo 815, primo comma, numeri da 2 a 6, del codice di procedura civile. Chi ha svolto l’incarico di mediatore non può intrattenere rapporti professionali con una delle parti se non sono decorsi almeno due anni dalla definizione del procedimento. Il divieto si estende ai professionisti soci, associati ovvero che esercitano negli stessi locali.”.
Il Giudice amministrativo ha rilevato che:
– “il legislatore ‘delegante’ [art. 60 L. n. 69/2009 – n.d.r.] ha voluto chiarire alcuni ‘punti cardine’ da seguire, principalmente orientati a riconoscere che la mediazione era limitata ai diritti disponibili, che gli ‘organismi di conciliazione’, e non i singoli mediatori, erano i soggetti destinatari del compito di dare luogo alla ‘mediazione’ come congegnata, riconoscendo per quelli istituiti presso i Tribunali alcune facilitazioni, che gli organismi stessi erano ‘vigilati’ dal Ministero della Giustizia, che assumeva rilievo il rispetto del ‘codice deontologico’ al fine di garantire la neutralità, indipendenza e imparzialità del singolo conciliatore nello svolgimento delle sue funzioni” ;
– per effetto delle disposizioni del decreto legislativo 4.3.2010, n. 28 “il regolamento dell’organismo scelto dalle parti assume un ruolo centrale nell’assetto della procedura e ciò appare del tutto in linea con la volontà del legislatore ‘delegante’ di dare rilievo alla struttura di mediazione in sé considerata più che ai singoli componenti. Il legislatore, infatti, prevede che sia il regolamento stesso, quindi, ad assumere (anche) la funzione di individuare modalità di nomina del (singolo) mediatore che ne assicurino la sostanziale indipendenza e terzietà, come è giusto che sia incidendo tale attività comunque su situazioni soggettive delle parti in posizioni di parità e in virtù anche dell’obbligo di comunicazione sull’esistenza (ed eventuale obbligatorietà ex art. 5 d.lgs. cit.) di tale procedura che incombe sull’avvocato al momento del conferimento di un incarico professionale, di cui all’art. 4, comma 3, d.lgs. cit.”.
Per il Collegio, in pratica, “il legislatore ha considerato le modalità idonee a garantire l’imparzialità e terzietà del mediatore, facendo rinvio alla relativa regolamentazione ad opera del singolo organismo di mediazione – a sua volta vigilato dal Ministero della Giustizia – e alla dichiarazione di impegno alla sua osservanza che ogni mediatore dove sottoscrivere per ciascun affare” sicché “non vi è spazio in materia per una decretazione ministeriale, se non per quanto previsto dall’art. 16, comma 2, d.lgs. cit., secondo il quale la formazione del registro e la sua revisione, l’iscrizione, la sospensione e la cancellazione degli iscritti, l’istituzione di separate sezioni del registro per la trattazione degli affari che richiedono specifiche competenze anche in materia di consumo e internazionali, nonché la determinazione delle indennità spettanti agli organismi sono disciplinati con appositi decreti del Ministro della giustizia, di concerto, relativamente alla materia del consumo, con il Ministro dello sviluppo economico”.
“In sostanza – ribadisce ancora il TAR – ne emerge un quadro per il Collegio dotato di evidente chiarezza, da cui si evince che in materia di garanzie di imparzialità è demandato a provvedere con il proprio codice etico lo stesso organismo di mediazione, soggetto su cui è centrata l’attenzione al fine di regolamentare l’intera procedura, sul quale comunque esercita, in ogni momento, la sua vigilanza il Ministero della Giustizia. Spazi ulteriori per una regolamentazione di rango secondario diretto, ai sensi dell’art. 17, comma 3, l. n. 400/88, non se ne riscontrano, limitandosi il richiamo a tale forma di decretazione a modalità di formazione e tenuta del registro, ai sensi del richiamato art. 16 d.lgs. n. 28/2010″.
“L’imparzialità e terzietà del mediatore – conclude il Collegio – sono ritenute necessarie ma legate alla dichiarazione del singolo secondo l’imposizione del regolamento dell’organismo, a pena di procedibilità, e in relazione a quanto già previsto dalla normativa primaria in tal senso. In tale contesto stride, quindi, la disposizione contestata nella presente sede, di cui all’art. 14 bis, come introdotto dall’art. 6, comma 1, d.m. 4.8.2014, n. 139, che si occupa direttamente dell’incompatibilità e dei conflitti di interesse del singolo mediatore. Sotto tale profilo appare condivisibile la censura dei ricorrenti di cui al primo motivo di ricorso, in quanto la normativa primaria non ha riservato alla decretazione regolamentare ministeriale alcun margine per intervenire sui temi dell’incompatibilità e del conflitto di interessi del singolo mediatore, al fine poi di estenderli anche a soci, associati e professionisti esercenti attività professionale nei medesimi locali”.
Sulla scorta del secondo motivo di impugnativa, il Collegio evidenzia, infatti, che “l’art. 84, comma 1, lett. o), d.l. n. 69/13, conv. in l. n. 98/13, ha inserito nel testo dell’art. 16 del d.lgs. n. 20/2010 il comma 4 bis, secondo il quale ‘Gli avvocati iscritti all’albo sono di diritto mediatori’. Il richiamo alla qualifica assunta ‘di diritto’, secondo la norma primaria come innovata, ad avviso del Collegio evidenzia la peculiarità della figura dell’avvocato-mediatore, che dà luogo ad una inscindibilità di posizione laddove un avvocato scelga di dedicarsi (anche) alla mediazione. Ne consegue che il decreto ministeriale in esame non ha tenuto conto della peculiare disciplina che regola la professione forense, di cui alla l. 31.12.2012, n. 247 e allo specifico codice deontologico vigente, pubblicato sulla G.U. del 16.10.2014, il cui art. 62 prevede esplicitamente la regolamentazione della funzione di mediatore per colui che è avvocato”.
Per il TAR “se il legislatore, con norma primaria (art. 16, comma 4 bis, d.lgs. n. 28/2010), ha ritenuto di individuare la sola figura dell’avvocato quale mediatore ‘di diritto’, ne consegue che, vista l’inscindibilità tra le due qualifiche, doveva considerarsi la vigenza e immediata applicabilità dell’altra normativa primaria che già si occupava di regolare le funzioni di mediatore, sia pure attraverso il richiamo ‘mobile’ al contenuto del codice deontologico” mentre “con l’introduzione dell’esteso e generalizzato regime di incompatibilità di cui all’art. 14 bis d.m. n. 139/14, peraltro – come visto – senza specifica ‘copertura legislativa’, si è invece dato luogo ad una commistione di incompatibilità e conflitti di interessi cui devono sottostare gli ‘avvocati-mediatori’ che non aveva ragione di essere e che meritava, eventualmente, pari sede legislativa primaria, come d’altronde subito osservato dal Consiglio di Stato”.
In ultimo il Collegio osserva che “la decretazione ministeriale non pare che abbia colto appieno l’estrema, variegata composizione degli studi legali professionali sparsi sul territorio e il rapporto numerico con gli organismi di mediazione in ciascun distretto di Tribunale. Non pare essersi tenuto conto, vale a dire, che in alcune parti del territorio nazionale, in special modo nelle città metropolitane, l’organizzazione professionale pare andare verso una composizione orientata su studi professionali ‘complessi’, spesso interdisciplinari, e con un numero sostanzioso di organismi di mediazione sul territorio, così che non pare irreversibile sulla scelta di effettuare anche la mediazione il mutamento di un organismo di appartenenza per il singolo legale. Vi sono però in altre zone del territorio organizzazioni più ‘semplici e capillari’, ove l’avvocato, da solo e in locali da lui unicamente detenuti, esercita sia in campo penale che civile che tributario e/o amministrativo, con uno e massimo due organismi di mediazione di riferimento, così che le disposizioni di cui all’art. 14 bis in esame lo costringerebbero a rinunciare inevitabilmente alla mediazione”.
I giudici amministrativi hanno quindi dimostrato di condividere appieno le perplessità che il Coordinamento della Conciliazione Forense aveva manifestato già in occasione della XII Assemblea riunitasi in Firenze il 10/11 aprile 2014, in relazione a quella che – in allora – era soltanto una ipotesi di disciplina delle incompatibilità.